Nam fovea atque igni prius est venarier ortum
quam saepire plagis saltum canibus ciere.
V, 1250-1251 (p. 405)
Gli antichi metodi di caccia, come quello sopra descritto, ovvero dotare i boschi di reti e sfruttare i cani, vennero calando drasticamente nella società romana, dacché l'allevamento aveva soppiantato l'arte venatoria. Inoltre i latini risentivano di molti tabù per timore degli dei, quali per esempio il divieto di cacciare nelle vicinanze di un tempio. D'altro canto a dei cacciatori professionisti, reclutati nella cerchia degli schiavi, veniva affidato il compito di evitare il sovrappopolamento di determinate specie. Solo sotto l'influsso della Grecia, nel II secolo a.C., nacque il concetto di caccia sportiva, molto lontano dall'idea che ne abbiamo oggi. Lo stesso Plinio il Giovane racconta in una lettera a Tacito di una sua battuta nella quale l'unica attività umana era quella di aspettare che i cinghiali si impigliassero causalmente nelle reti.
Statua di Diana, dea della caccia presso gli antichi Romani (museo del Louvre)
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