martedì 24 giugno 2014

Abbecedario tecnologico

Aratro
Bronzo
Carro
Dardo
Estrazione [mineraria]
Fontana
Gru
Heraclitus
Igneo
Livella
Martello
Nave
Oro
Ponte
Quadrupede
Regolo
Specchio
Tornio
Uomo
Vomere
Zefiro

domenica 22 giugno 2014

Progresso materiale e decadenza morale

Navi e colture dei campi, mura, leggi, armi, vie, vesti, e ogni invenzione di tal genere, e anche tutti i premi e le delizie della vita, canti, pitture, statue rifinite con arte, li insegnò a poco a poco il bisogno e insieme il travaglio della vita mente operosa che muove un passo dopo l’altro. Così a mano a mano il tempo manifesta ogni cosa e il ragionamento e la sospinge verso le spiagge della luce. Infatti in loro cuore vedevano una cosa trar luce dall’altra, finché con le arti giunsero al vertice estremo.

Navigia atque agri culturas, moenia, leges,
arma, vias, vestis ‹et› cetera de genere horum,
praemia, delicias quoque vitae funditus omnis,
carmina, picturas, et daedala signa polita,
usus et impigrae simul experientia mentis
paulatim docuit pedetemptim progredientis.
Sic unumquicquid paulatim protrahit aetas
in medium ratioque in luminis erigit oras.
Namque alid ex alio clarescere corde videbant,
artibus ad summum donec venere cacumen. 

V, vv. 1448-1457 (p. 415)

Il quinto libro dell’opera si conclude così con un pesante giudizio morale che anticipa in tutto e per tutto la posteriore filosofia senechiana. Un elenco breve, conciso e dal ritmo nervoso di gran parte del sapere tecnologico latino ci riporta un’ultima volta con la mente a quel glorioso splendore per poi dirottarci verso il “vertice estremo”. Ed è proprio a questo punto che, giunti quasi al termine di quest’analisi, viene lasciata unicamente al lettore la facoltà di trarre le proprie conclusioni.

In questo interessante saggio di Montesquieu si possono trovare alcune risposte alla questione che Lucrezio pone a conclusione del V libro attraverso una visione d’insieme della civiltà latina.

sabato 21 giugno 2014

Estrazione e gestione dell’acqua: dal pozzo alla fontana

L’acqua nei pozzi diviene più fredda d’estate, perché la terra si screpola per la calura, e se per caso contiene suoi propri germi di fuoco, li sperde nell’aria. […] Dicono che sia presso il tempio d’Ammone una fontana fredda nella luce del giorno e calda nella notte.

Frigidior porro in puteis aestate fit umor,
rarescit quia terra calore et semina siquae
forte vaporis habet proprii, dimittit in auras.
[…]
Esse apu Hammonis fanum fons luce diurna
frigidus et calidus nocturne tempore fertur.

VI, vv. 840-842; 848-849 (p. 463)


L’estrazione dal sottosuolo dell’acqua è una pratica che risale al Neolitico, l’ultimo periodo dei tre che non casualmente costituiscono la prestorica età della pietra. Il pozzo più antico scoperto è datato intorno 8100-7500 a.C. nel sito archeologico sottomarino di Atlit Yam, in Israele. La notevole conoscenza in ambito idrico dei Romani permise loro, in un secondo tempo, di costruire luoghi dove attingere l’acqua nelle città, senza sfruttare direttamente il pozzo. Le fontane, intese con l’odierna accezione architettonica che viene loro conferita, furono un prodotto della cultura ellenistica. Nell’antica Roma queste costituivano strutture spesso particolarmente possenti e quasi sempre sacre: i ninfei. Presso essi la popolazione poteva così trascorrere momenti di otium. Il tempio citato da Lucrezio è il complesso templare egiziano situato presso l’antica Tebe.

Ninfeo di Egeria

venerdì 20 giugno 2014

Risorse e sfruttamento nelle miniere

Che mefiti esalano talvolta le miniere d'oro!

Quidve mali fit ut exhalent aurata metalla!

VI, v. 811 (p. 461)

Tra i vari fenomeni naturali presentati nel VI libro vi è anche quello dei luoghi Averni, nei quali la presenza di taluni carbonati produceva l'esalazione di un'aria mefitica, irrespirabile per gli esseri viventi. Fra questi sono elencate, come si legge nella citazione, le miniere d'oro. In generale lo sfruttamento dei giacimenti minerari era una praticata conosciuta sin dai tempi più antichi, sebbene fosse solamente superficiale. Solo in un secondo tempo, nel mondo classico, si iniziarono a scavare profonde gallerie: la roccia veniva spaccata arroventandola e cospargendola con dell'aceto, i massi, estratti dalla cava con una forza disumana, venivano frantumati in blocchi con delle mazze e polverizzati con pesantissime macine di pietra. Infine il materiale di scarto era separato dai minerali o per lavaggio o per fusione.

Resti della più importante miniera d’oro dell’Impero romano presso Las Médulas, in Spagna.

giovedì 19 giugno 2014

Forni e fornaci

Succede anche, quando di nube in nube cade la forza ardente del fulmine: se la nube entro copioso umore accoglie la fiamma, subito con grande strepito la soffoca; come a volte il ferro che esce rovente dalle fornaci accese stride, se in fretta lo immergiamo in acqua gelida.

Fit quoque, ubi e nubi in nubem vis incidit ardens
fulminis; haec multo si forte umore recepit
ignem, continuo magno clamore trucidat;
ut calidis candens ferrum e fornacibus olim
stridit, ubi in gelidum propere  demersimus imbrem.

VI, vv. 145-149 (p. 425)

Il bisogno di cuocere alcuni materiali si sviluppò parallelamente alla necessità di impiegare l'argilla nell'edificazione di abitazione che avessero una maggiore solidità strutturale. Gli stessi insediamenti preistorici hanno testimoniato la presenza di questa pratica sin dal Neolitico. Solo in un secondo tempo le fornaci divennero il cuore della lavorazione del vetro e dei metalli. I Romani inoltre godevano già di una fiorente e sviluppata industria laterizia. Tra le varie fornaci romane ritrovate è particolarmente interessante il complesso di Eboli. Datato tra il II ed il IV secolo a.C. è costituito da tre forni di diverse dimensioni che presumibilmente erano adoperati per manufatti laterizi dal momento che il vicino torrente è denominato Ermice dal latino imbrex (tegola). Ma l'ulteriore scoperta della Villa del fabbro, collocata più in basso, potrebbe essere una prova del fatto che avvenisse anche la lavorazione dei metalli.

La camera di combustione di una delle tre fornaci del complesso di Eboli.

mercoledì 18 giugno 2014

L'evoluzione del lusso

Cadde  anche spezzata la veste di pelle ferina, che tale invidia destò, credo, quando fu scoperta, che dovette trovar morte in agguato chi l'indossò per primo, e tuttavia, lacerata fra quegli uomini, in mezzo a molto sangue andò perduta e non poté servire nessuno. Un tempo le pelli, oggi l'oro e la porpora affannano con desideri la vita degli uomini e l'affaticano in guerra; tanto più grave in noi si è annidata la colpa.

Pellis item cecidit vestis contempta ferinae;
quam reor invidia tali tunc esse repertam,
ut letum insidiis qui gessit primus obiret,
et tamen inter eos distractam sanguine multo
disperiisse neque in fructum convertere quisse.
Tunc igitur pelles, nunc aurum et purpura curis
exercent hominum vitam belloque fatigant;
quo magis in nobis, ut opinor, culpa resedit.

V, vv. 1418-1425 (p. 413)

L'idea che la tecnologia produca un indiscusso benessere viene in questi versi messa in discussione dallo stesso Lucrezio. Senza aprire un dibattito filosofico, si nota come l'evoluzione della tecnica sia razionalmente partita da ciò che risultava necessario per poi andare ad occuparsi di tutto ciò che, al di la del bisogno, potesse soddisfare i desideri del genere umano. Si noti anche l'iniziale immagine metaforica secondo la quale ogni nuova invenzione, anche la più intuibile, fosse in grado di dare adito ad una discordia per ottenerla: si deduce così l'irresistibile attrazione che la tecnica ha da sempre prodotto sull'uomo. Un interessante accenno merita la qui citata porpora. Si tratta di un pigmento che si estrae da un mollusco, il murice comune e particolarmente in voga presso la popolazione dei fenici. Per evidenziare il lusso di questo prodotto basta ricordare il fatto che molti anni dopo l'imperatore romano d'Oriente Teodosio II (401-450 d.C.), come si evince dal Codice Teodosiano, decretò l'invio di alcuni funzionari presso le manifatture di porpora fenicie per vigilare contro ogni frode, poiché nessuno poteva possedere quel genere di prodotto, dacché era riservato esclusivamente all'imperatore ed alla sua famiglia.

La toga picta era una particolare tunica tinta di porpora.

lunedì 16 giugno 2014

La tecnica in musica

I sibili dello zefiro nell'incavo delle canne insegnarono da prima ai contadini a soffiare nei cavi steli della cicuta. Quindi a poco a poco impararono i dolci lamenti che il flauto diffonde, tentato dalle dita dei suonatori, poi che fu scoperto fra boschi impervi e foreste e pascoli, nei luoghi solitari dei pastori e fra gli ozi divini.

Et zephyri cava per calamorum sibila primum
agrestis docuere cavas inflare cicutas.
Inde minutatim dulcis didicere querelas,
tibia quas fundit digitis pulsata canentum,
avia per nemora ac silvas saltusque reperta,
per loca pastorum deserta atque otia dia.

V, vv. 1382-1387 (p. 411)

Sebbene non sia così immediato comprendere l'interconnessione che sussiste tra l'ambito musicale e la tecnologia, tutto sembra più chiaro dall'avvento dell'elettricità. Dopotutto la musica, fondamentale disciplina del quadrivio, è una materia estremamente scientifica (si pensi per esempio solamente alla complessità dello studio dei fenomeni ondulatori). Il flauto è d'altra parte probabilmente lo strumento più antico: vi sono reperti archeologici di tale generi costruiti con ossa, corna od avorio risalenti al Paleolitico. In questi versi Lucrezio allude all'impiego della cicuta per fare zufoli e zampogne. I Romani utilizzavano spesso le tibiae, chiamate così perché prodotte a partire dalla tibia di qualche animale. Si trattava di strumenti musicali simili al flauto dolce ma costituiti da due canni: essi sono citati anche da Orazio, il quale sostiene che venissero fabbricati con ossa d'asino.

domenica 15 giugno 2014

La suddivisione dell' "ager"

come ora vedi distinta da uno svariare gioioso tutta la campagna, che gli uomini adornano disponendo dolci pomari, e recingono con piantagioni di arbusti fruttiferi.

ut nunc esse vides vario distincta lepore
omnia, quae pomis intersita dulcibus ornant
arbustisque tenent felcibus obsita circum.

V, vv. 1376-1378 (p. 411)
 
La delimitazione di una proprietà agricola godeva di una certa importanza nella civiltà latina dal momento che quest'ultima aveva da sempre avuto un apparato legislativo efficientissimo. Durante gli anni della repubblica era in voga il sistema della centuriazione, secondo il quale gli appezzamenti venivano suddivisi secondo un reticolo ortogonale, già adottato in ambito militare. Tale pratica ebbe inizio prevalentemente nel IV secolo a.C. con la fondazione di nuove colonie per poi perfezionarsi nel 268 a.C. con la colonizzazione della pianura Padana. L'apice dell'utilizzo di questo criterio si ebbe però nel 133 a.C., quando la legge agraria di Tiberio Gracco sancì la privatizzazione dell'ager publicus.

sabato 14 giugno 2014

Gli animali di Marte

Ed è uso più antico montare armato sui fianchi del cavallo guidandolo col morso, e disporre del vigore della destra, che su un carro a due cavalli tentare i rischi della guerra. E aggiogare due cavalli si usò prima che attaccar due pariglie, e che salire in armi sopra i carri falcati. Più tardi ai buoi lucani dal corpo turrito, mostruosi, di mano serpentina, i Punici insegnarono a sopportare le ferite in battaglia e a sconvolgere le grandi orde di Marte.

Et prius est armatum in equi conscendere costas
et moderarier hunc frenis dextraque vigere
quam biiugo curru belli temptare pericla. 

Et biiugos prius est quam bis coniungere binos
et quam falciferos armatum escendere currus.
Inde boves lucas turrito corpore, taetras,
anguimanus, belli docuerunt vulnera Poeni
sufferre et magnas Martis turbare catervas.


V, vv. 1297-1304 (p. 407)

"figuriamoci poi se c'è chi pensa che ci siete anche voi bestie che guardate uomini e cose con codesti occhi silenziosi e chi sa come li vedete, e che ve ne pare". In questa celebre citazione pirandelliana si evince come da sempre gli animali siano stati testimoni delle sciagure umane, sfruttati in alcuni casi per la loro possanza inconfrontabile con quella umana: chi non ricorda difatti gli elefanti di Annibale? La bardatura in certi casi era assai complessa e in questi versi vengono nominati alcuni elementi fondamentali. Il morso, per esempio, utilizzato per dominare il cavallo durante la cavalcata, fu inventato verso il 1400 a.C. Con pariglia invece, nell'ambito dell'equitazione, s'intende una coppia di cavalli da tiro molto simili per statura, aspetto somatico o talvolta per il colore del mantello. Infine non è immediato capire cosa sottintenda l'aggettivo "turrito" riferito ai "buoi lucani": i Romani chiamarono in questo modo gli elefanti quando per la prima volta li videro in Lucania nella guerra contro Pirro (280-272 a.C.) ed alla cui schiena era legato un abitacolo a forma di torretta, da cui i guidatori potevano combattere al riparo.

 

martedì 10 giugno 2014

La magia dei metalli

Continuando, il rame, l'oro e il ferro furono scoperti, e si trovò il peso dell'argento e il potere del piombo, [...]Quando poi li vedevano, rappresi, splendere di colore lucente sul terreno, li raccoglievano, rapiti dalla nitida e liscia bellezza, e li vedevano plasmati nella medesima forma che aveva l'impronta dell'incavo di ognuno. Li penetrava allora il pensiero che questi potessero , fusi alla fiamma, colare in ogni forma e stampo di oggetti, e venire affilati a colpi di martello in punte di pugnali  quanto uno volesse aguzze e sottili, per farsene armi, e poter tagliare foreste, e sgrossare legname e spianare a lucido assi, e anche trivellare e lavorar di conio e succhiello.

Quod superest, aes atque aurum ferrumque repertumst
et simul argenti pondus plumbique potestas,
[...]
Quae cum concreta videbant
posterius claro in terra splendere colore,
tollebant nitido capti levique lepore,
et simili formata videbant esse figura
atque lacunarum fuerant vestigia cuique.
Tum penetrabat eos posse haec liquefacta calore
quamlibet in formam et faciem decurrere rerum
et prorsum quamvis in acuta ac tenvia posse
mucronum duci fastigia procudendo,
ut sibi tela parent, silvasque ut caedere possint
materiemque dolare et levia radere tigna
et terebrare etiam ac pertundere perque forare.

V, vv. 1241-1242; 1257-1268 (pp. 403-405)
 
Sebbene nell'argomentare lucreziano non sia presente nessun sentimento esoterico, si evince come fin dall'alba dei tempi i metalli siano sempre stati circondati da un'aura misteriosa; si noti per esempio l'espressione plumbi potestas, dove molto probabilmente si vuole alludere al suo particolarmente elevato peso specifico. È inoltre interessante, tra i molteplici impieghi che vengono citati, soffermarsi sugli ultimi due sostantivi: il conio ed il succhiello. Il primo rappresenta uno dei due pezzi di metallo utilizzati per imprimere una faccia di una moneta e contiene la versione incusa dell'immagine, ovvero la sua forma in versione incavata. Ovviamente, in età arcaica, per semplicità, il procedimento era invertito: il conio possedeva un disegno in rilievo e, conseguentemente, l'impronta sulla moneta risultava incavata. Il succhiello invece è un piccolo arnese che consente di praticare modesti fori nel legno. Esso è costituito da un'impugnatura che consente di imprimere un moto rotazionale all'utensile, un gambo di metallo ed una punta preferibilmente dotata di un tagliente elicoidale.
 
Conio prodotto da un falsario di epoca romana al fine di contraffare le monete emesse a nome di Diocleziano dall'80 all'81 d.C.


domenica 8 giugno 2014

La caccia

Che il cacciare con le fosse e col fuoco venne in uso ben prima che cingere di reti la macchia e snidare coi cani.

Nam fovea atque igni prius est venarier ortum
quam saepire plagis saltum canibus ciere.

V, 1250-1251 (p. 405)

Gli antichi metodi di caccia, come quello sopra descritto, ovvero dotare i boschi di reti e sfruttare i cani, vennero calando drasticamente nella società romana, dacché l'allevamento aveva soppiantato l'arte venatoria. Inoltre i latini risentivano di molti tabù per timore degli dei, quali per esempio il divieto di cacciare nelle vicinanze di un tempio. D'altro canto a dei cacciatori professionisti, reclutati nella cerchia degli schiavi, veniva affidato il compito di evitare il sovrappopolamento di determinate specie. Solo sotto l'influsso della Grecia, nel II secolo a.C., nacque il concetto di caccia sportiva, molto lontano dall'idea che ne abbiamo oggi. Lo stesso Plinio il Giovane racconta in una lettera a Tacito di una sua battuta nella quale l'unica attività umana era quella di aspettare che i cinghiali si impigliassero causalmente nelle reti.

Statua di Diana, dea della caccia presso gli antichi Romani (museo del Louvre)  

Tecnologia e potere

I re cominciarono a fondare città ed innalzare fortezze, per servirsene essi stessi come difesa e rifugio, [...] Più tardi fu escogitato il possesso e fu scoperto l'oro, che facilmente alla forza e alla bellezza sottrasse ogni pregio;

Condere coeperunt urbis arcemque locare
praesidium reges ipsi sibi perfugiumque,
[...]
Posterius res inventast aurumque repertum,
quod facile et validis et pulchris dempsit honorem;

V, vv. 1108-1109; 1113-1114 (p. 397)
 
Talvolta, anche il razionalismo di Lucrezio, di fronte alla società romana sfocia in una negazione del positivismo. Dopotutto la letteratura latina ha quasi sempre invocato i tempi remoti come periodi idilliaci, adducendo un sentimento nostalgico attraverso la ripresa degli antichi miti. Inizialmente la difesa della città di Roma era costituita da un massiccio terrapieno e solo nel VI secolo a.C., come narra Livio, Servio Tullio fece costruire una cinta muraria di almeno 7 chilometri dotata di numerose porte impiegando blocchi squadrati di tufo. In età repubblicana, la fortificazione divenne una vera e propria struttura indipendente riservata allo stazionamento in forma stabile o provvisoria di un'unità dell'esercito romano. Inoltre, spesso e volentieri, l'evoluzione di queste strutture autosufficienti portò alla nascita di numerose città: la stessa Torino è fondata su di un castro (28 a.C.).
 
Porta Palatina (Torino, I secolo a.C.)  

sabato 7 giugno 2014

La negazione di Prometeo

Perché forse su questo argomento non tiassilli una muta domanda, il fulmine portò primo sulla terra il fuoco ai mortali, e di là dirama ogni ardore di fiamme. [...] Poi a cuocere il cibo e ammorbidirlo al calor della fiamma insegnò il sole, perché vedevano molti frutti ammansirsi ai campi, vinti dalla sferza dei suoi raggi e dal suo calore.

Illud in his rebus Tacitus ne forte requiras,
fulmen detulit in terram mortalibus ignem
primitus, inde omnis flammarum diditur ardor.
[...]
Inde cibum coquere ac flammae mollire vapore
sol docuit, quoniam mitescere multa videbant
verberibus radiorum atque aestu victa per agros.

V, vv. 1091-1093; 1102-1104 (pp. 395-397)

Sebbene la letteratura latina sia stata da sempre caratterizzata dal grande amore per la tradizione mitologica, Lucrezio mette ancor una volta in risalto il suo animo profondamente scientifico descrivendo il modo con il quale gli umani hanno conosciuto il fuoco. Le prove archeologiche testimoniano il controllo del fuoco da parte dell'uomo sin da 1,42 milioni di anni fa, nell'Africa orientale. Inoltre da questi versi si deduce come la filosofia lucreziana sostenga che la conoscenza umana sia strettamente empirica. Nell'arte della cucina i Romani erano d'altra parte davvero all'avanguardia come testimonia solo un secolo dopo l'indimenticabile cena di Trimalcione descritta nel Satyricon di Petronio.

Affresco raffigurante alcune portate tipiche della cucina romana

Prima dell'incontro con la Tecnologia...

Non c'era robusto guidatore di aratro ricurvo, nessuno sapeva smuovere col ferro il suolo dei campi, né ai grandi alberi troncare coi falcetti i vecchi rami.

Nec robustus erat curvi moderator aratri
quisquam, nec scibat ferro molirier arva
nec nova defodere in terram virgulta neque altis
arboribus veteres decidere falcibu' ramos.

V, vv. 933-936 (p. 387)
 
Descrivendo l'umanità primitiva, Lucrezio sembra conferire alla civiltà a lui contemporanea un eccelso merito ed un grande avanzamento tecnologico, dal momento che guarda alle società preistoriche come fossero qualcosa di animalesco. Oltre ad alcuni termini già citati, vi è una diretta testimonianza dell'utilizzo della falx (roncola). Essa fu presente sin dall'età del bronzo, inoltre recentemente sono state ritrovate numerose incisioni rupestri sulle Alpi Apuane che svelano come in verità l'impiego di questo utensile sia probabilmente molto arcaico di quanto pensasse Lucrezio stesso.
 
 Nel culto del dio Mitra la falce simboleggia Saturno, il dio planetario associato all'ultimo livello per l'iniziato (pavimento mosaicato di Ostia).

lunedì 2 giugno 2014

L'arte della tessitura

La veste intrecciata fu prima del panno tessuto. Il tessuto seguì al ferro, perché col ferro si appronta il telaio, né altrimenti si possono foggiare arnesi così levigati, spole, fusi, navette e rulli sonanti. E a filare la lana natura costrinse gli uomini prima che il sesso femmineo:

Nexilis ante fuit vestis quam textile tegmen.
Textile post ferrumst, quia ferro tela paratur,
nec ratione alia possunt tam levia gigni
insilia ac fusi radii scapique sonantes.
Et facere ante viros lanam natura coegit
quam muliebre genus:

V, vv. 1350-1355 (p. 409)
 
Sono qui nominati, in pochi versi, una grande quantità di elementi dai quali si evince la profonda cultura tessile della società romana. Innanzitutto è bene distinguere il concetto di intrecciatura da quello di tessitura; la prima consiste nel torcere insieme elementi lunghi, sottili e flessibili, tecnica diffusa non solo nel genere umano, come dimostrano per esempio i nidi costruiti dalle Ploceidae, una famiglia di piccoli uccelli passeriformi. La tessitura è d'altra parte una particolare modalità nella quale su una base di fili paralleli (fili di ordito) viene intrecciato perpendicolarmente il filo di trama. Si conservano testimonianze di quest'arte fin dai tempi neolitici. Le prime intelaiatura consistevano in un rettangolo costruito con rami di legno disposto verticalmente; i Romani utilizzavano spesso telai verticali nei quali i fili di ordito erano tenuti in tensione da dei pesi attaccati in posizione terminale. L'impiego del ferro inoltre permise il perfezionamento di alcuni elementi indispensabili per questa lavorazione: le navette per esempio erano inizialmente costituite essenzialmente da un legnetto. Altro importante lavoro domestico era la filatura della lana che consisteva in due processi: la torsione e la stiratura del filo. Rocche e fusi erano realizzati con una vastissima gamma di materiali (ambra, legno, osso, avorio, giaietto) molti dei quali facilmente deperibili  
 
Nella letteratura classica il telaio viene spesso associato alla figura omerica di Penelope (Palazzo Petrucci, Siena).