Ille quuoque ipse, viam qui quondam per mare
magnum
stravit iterque dedit legioni bus ire per altum ac pedibus salsas docuit super ire lacinas
et contempsit equis insultans murmura ponti,
lumine adempto animam moribundo corpore fudit.
III, vv. 1029-1033 (pp.
257-259)
Attraverso una metafora, Lucrezio allude a Serse, il re di
Persia che, nella sua spedizione contro la Grecia costruì un ponte di barche
sull’Ellesponto (Dardanelli). Questo tipo di struttura era costituita
principalmente da barche legate le une alle altre, in modo tale da formare un
ponte laddove ve ne era una necessità solitamente temporanea. Il vantaggio di
tale costruzione consisteva nel fatto che, nel caso salissero le acque, anche
il ponte si alzava, in modo tale da poter permettere in ogni caso di guadare il
fiume. L’altra agevolazione consisteva nel fatto che in ambiente bellico, una
volta utilizzato poteva facilmente essere distrutto per impedire il passaggio
del nemico.
Figura 1 bassorilievo sulla Colonna di Marco Aurelio (176-192 d.C.)
raffigurante un ponte di barche realizzato dall’esercito romano
L’invenzione del ponte di barche ha origine antichissime: le
prime popolazioni che si reputa abbiano avuto questa invenzione ingegneristica
furono quelle cinesi mentre, nel mondo latino, si ha una speciale
testimonianza, posteriormente a Lucrezio, attraverso Plinio il Vecchio.
Quest’ultimo testimonia la costruzione di un ponte fatto di barche e botti
sullo stretto di Messina, voluta dal console Lucio Cecilio Metello nel 251 a.C., per trasportare
dalla Sicilia centoquaranta elefanti sottratti ai Cartaginesi durante la
battaglia di Palermo.
Figura 2 veduta del ponte in chiatte,
per l’attraversamento del fiume Oglio tra Canneto e Piadena (circa 1945)