Postremo quoniam incultis praestare videmus
culta loca et manibus meliores reddere fetus,
esse videlicet in terris primordia rerum
quae nos fecundas vertentes vomere glebas
terraique solum subigentes cimus ad ortus.
Quod si nulla forent, nostro sine quaeque labore
sponte sua multo fieri meliora videres.
I, vv. 208-214 (p. 81)
Come si evince da questi singolari versi, che costituiscono anche la metafora del pensiero lucreziano, egli era fortemente convinto di quella grande rivoluzione che aveva costituito l'alba della civiltà. L'uomo non può trovare il necessario sostentamento lasciando alla natura la facoltà di stabilirne il margine, poiché questa non possiede infinita disponibilità, non si tratta di un Giardino dell'Eden. Lucrezio aveva assai intuito il valore dell'agricoltura, intesa come atto di pacifico accordo tra uomo e natura; ma ciò che è, dal nostro punto di vista, particolarmente interessante in questo passo è la comparsa del termine "vomere", il quale implica la profonda conoscenza che già i romani possedevano circa l'utilizzo dell'aratro, come testimoniano gli svariati trattati De re rustica. Nato come cuneo in legno, per poi essere lavorato dal ferro, il vomere era conosciuto sin dal neolitico, per poi essere perfezionato in Mesopotamia, verso il 6000 a.C., in concomitanza con l'addomesticamento dei buoi.
Documento 1 Bassorilievo romano raffigurante l'aratura di un campo
Il bassorilievo in figura rappresenta un'importante testimonianza di come questo strumento fosse già pienamente in voga presso la civiltà latina. Al seguente link è possibile trovare la scheda completa del reperto archeologico presso il museo nazionale di Aquileia.
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